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Göbekli Tepe e Karahan Tepe: il tempio più antico del mondo e il suo mistero divino.
Göbekli Tepe e Karahan Tepe rappresentano una sfida per
l’archeologia ufficiale essendo le prime forme di tempio-santuario conosciute e risalenti a un’epoca molto remota, parliamo di 12000 /
14000 anni fa. Per la prima volta nella storia l’uomo ha pregato
rivolgendosi al divino in un tempio di pietra.
L’uomo ha innalzato monoliti dalla più remota antichità e questo
alzare la pietra e levigarla è stato il modo più conosciuto agli antichi
per portare la propria offerta a Dio.
Stonehenge ne è uno degli esempi più fulgidi, pur tuttavia Göbekli
Tepe risale a oltre settemila anni prima.
La Bibbia menziona la prima volta che l’uomo ha evocato Dio
sollevando la pietra.
Esemplare al riguardo è la scala di Giacobbe, episodio biblico
descritto in Genesi 28:11-19.
Giacobbe, per assicurarsi l’alleanza con Dio, innalzò una pietra che
chiamò El-Betel, che significa “casa di Dio”, ovvero “porta del cielo”.
Giacobbe sognò una scala per unire terra e cielo, e la sognò
mentre si stava recando ad Harran. Gli episodi non possono essere
isolati ed è evidente che si tratta di una originaria sensibilità al
sacro tessuta dagli uomini antichi, gli stessi che hanno edificato
Göbekli Tepe che noi ci prendiamo la licenza di considerare una
Betel universale, una vera pietra – scala che mette in
comunicazione terra e cielo.
“Giacobbe si alzò la mattina di buon’ora, prese la pietra che aveva
messa come capezzale, la pose come pietra commemorativa e vi
versò sopra dell’olio. E chiamò quel luogo Betel; mentre prima di
allora il nome della città era Luz.”
Genesi, 28: 18,19
“Lì costruì un altare e chiamò quel luogo El-Betel, perché Dio gli era
apparso lì”
Genesi 35, 7
Il ramificato complesso di siti archeologici della zona anatolica dove
si trovano Göbekli Tepe ma anche Karahan Tepe, Nevalı Çori e altri
formano, a mio dire, un unico sistema gestito da una sola classe
sacerdotale, o, perlomeno, diretta da un unico patrimonio di codici
teurgici e pertanto mi arbitro la licenza di chiamare con il nome di
Göbekli Betel questo sito meta-archeologico.
Il Topos meta-archeologico va inteso nel senso di un Genius
spaziale che detiene il tessuto vivente di più luoghi votando questi
ad una unità semantica superiore che diviene l’Anima vivente.
Gli sciamani di Göbekli Tepe e di Karahan Tepe volevano mettere in
contatto la terra col cielo. Perché innalzare una pietra in alto
significa trasformare la pietra. La trasformazione della pietra è un
linguaggio che appartiene all’alchimia e anche a moltissime altre
religioni. “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). La
pietra ancora ricorre come simbolo del tempio, assieme all’acqua
sacra, elemento fondamentale, perché l’acqua in questa zona è
fondamentale.
L’acqua e la terra, la pietra e la levigazione della pietra, vanno
intese anche in senso allegorico come Lapis ovvero come Interior
terrae. In questo luogo sacro l’uomo ha lavorato la pietra con
l’acqua, la pietra rappresenta il corpo e l’acqua rappresenta l’anima.
Il corpo e l’anima tendono allo Spirito e questa è la tripartizione che
si vede a Göbekli Tepe e Karahan Tepe. Questo complesso di pietre
è praticamente un portale dimensionale che fa sì che gli elementi
originari concorrono all’ unità. La pietra e l’acqua, la terra e l’anima,
vanno a intessersi nello Spirito. Lo Spirito è Fuoco quindi Sole che
dà la vita, elemento ricorrente nella iconografia di Göbekli Tepe.
La grande potenza delle acque nel cristianesimo assume la vitalità
dello Spirito che è Santo.
Per comprendere il mistero del sito di Tepe dobbiamo chiederci: -
che cos’è una comunicazione? Quando io comunico qualcosa?
Quando io sono in Comunione? Possiamo pensare di comunicare
un elemento dei più semplici in assoluto ad esempio il cerchio,
magari il cerchio centrato che è l’immagine dell’Essere, del sole,
della vita, di un centro appunto. Se noi immaginiamo di trasmettere
l’immagine di un cerchio a una seconda ricevente e poi un’altra
ricevente ancora (queste fanno da ricetrasmettenti) e procediamo
così decine e decine di volte, noi, con le nostre apparecchiature
(anche soltanto con la nostra mente) alla fine non riceviamo
l’immagine originaria ma un altro tipo di immagine ormai distorta e
alterata.
Avremo una specie di sfera deformata come nei quadri di Maurice
Escher, poiché la trasmissione dell’immagine, quindi la
comunicazione stessa, deforma il contenuto che viene comunicato.
Questa deformazione avviene perché nel contenuto entrano in
gioco il comunicante, oltre che il comunicato, in quanto sono
strutture non pure che quindi deformano l’immagine comunicata e
la implementano con la propria esperienza e con la propria
aspettativa.
Quello che ho percepito visitando i siti archeologici è questo: che
Göbekli Tepe, e ancor più Karahan Tepe, rappresentano la
comunicazione originaria: c’è una comunicazione che non è stata
alterata cioè la comunicazione per eccellenza che gli sciamani
tepani (chiamiamoli così, gli sciamani di Tepe) hanno “telegrafato”
innalzando i loro monoliti.
I monoliti di Tepe sono in pratica delle antenne, ovvero delle
ricetrasmettenti per mandare ad altri siti una comunicazione
originaria: non una comunicazione, bensì la comunicazione
originaria.
Questa comunicazione originaria mette in Comunione gli elementi
terra, sole e acqua ma, soprattutto, la sensazione che ho avuto
nella mia elaborazione quella notte è che gli sciamani tepani,
probabilmente al centro di un’ara, riuscivano a comunicare con un
altro sciamano distante decine di chilometri da un altro sito e questo
istantaneamente e sincronicamente.
Io credo che nei siti di Göbekli Tepe abbiamo a che fare con degli
apparecchi di comunicazione che sono delle ricetrasmettenti che si
attivano con particolari procedure che possiamo definire una
“telegrafia” intra-dimensionale.
La mappa di questa superfice meta-archeologica riguarda una
metafisica del territorio che gli antichi conoscevano e i moderni
hanno perso: il luogo inteso come Topos, ovvero come
manifestazione viva della forza sovrasensibile che mette in
comunicazione un punto nevralgico (qui inteso nell’esempio del
centro, il cerchio puntato solare) con un altro punto nevralgico.
Attraverso una particolare procedura i sacerdoti di Tepe riuscivano
a comunicare fra di loro in punti praticamente distantissimi che però
in quel momento erano una stessa struttura, uno stesso tessuto.
“Chi giunge da forestiero riconosce nel «rilucere» che qui altri
uomini hanno eretto il loro ordine.”
Scrive Walter Burkert, I Greci – Età arcaica, Età classica (sec. IX-
IV) (Tomo 1-Jaca Book (1984) pag. 107).
Nello scritto Del cielo Aristotele afferma che all’esterno del cielo non
vi sarebbe né spazio né tempo; «là» vi sarebbe dunque solamente
incorporeità, immutabilità: la vita migliore autosufficiente
nell’eternità; lo si potrebbe dunque chiamare Aion, piena durata, in
quanto confine ultimo. Che comprende i confini di tutto il cielo,
l’intero tempo, il privo di limiti. E questo gli sciamani hanno fatto.
D’altronde la teologia orientale non ha ignorato che il “luogo” non è
un fatto statico e privo di attività comunicativa, ma, anzi, esso ha il
potere di comunicare con altri della stessa “specie”.
“Ogni parte del mondo vibra empaticamente con le altre. Grazie a
questa immanenza, all’uomo è dato di interiorizzare, di ampliare il
suo luogo, di identificarlo, sotto il profilo etico, con il mondo intero”
Pavel Nikolaevič Evdokimov, in Dostoevskij e il problema del male,
(Città Nuova, Roma 1995, p.152)
Il sacerdote immerso a Tepe doveva diventare esso stesso dimora,
Betel, comunicazione inalterabile.
“Colui che è in preghiera è rivestito della luce senza forma, egli è
luogo di Dio”
Evagrio Pontico, Praticos 1,70
“Tutti i punti dello spazio sono frammenti del Templum mundi”
Paul Evdokimov, L’ortodossia, Capitolo 2,1
Sono propenso a credere che lo spazio sia un tessuto articolato,
che la sua espansione apparente sia in realtà una contrazione, di
modo che quanto accade in un luogo, come per osmosi, accade in
un altro, come quando, toccato un punto sensibile del corpo,
mediante invisibili reti e innervature spaziali, questo palpito accade
istantaneamente in altro punto del tessuto vivente. In questo modo,
intervenendo su di un solo punto, si interviene sulla totalità e ciò
che accade qui è ciò che sta accadendo altrove, e ciò che qui viene
compiuto viene compiuto in un altro luogo.
Lo spazio è un sistema nervoso che mette in comunicazione diversi
centri nevralgici e diviene pertanto un sistema telegrafico metafisico
che connette punti apparentemente distanti e impossibili da porre in
relazione, una relazione istantanea e totalizzante.
La prova di questa teoria dello spazio sta proprio nei siti di Göbekli
e Karahan Tepe.
Se potessi dire, naturalmente con una traduzione molto
approssimativa, qual’è questa Comunicazione originaria, telegrafata
dagli sciamani tepani, oltre a trasmettere i tre elementi originari
(quindi anche la centralità della vita, del sole, dell’acqua e della
terra) la grande comunicazione originaria, l’assoluta comunicazione
originaria è la gratitudine.
I sacerdoti comunicavano la gratitudine, la coscienza dell’uomo di
essere vivo. L’uomo prende coscienza di essere vivo, che la vita è
un miracolo, questa coscienza gli arriva da altrove e lui risponde
con la gratitudine.
Il sacerdote di Tepe rimbalza e diffonde la comunicazione originaria
della gratitudine: “Io sono grato perché sono vivo”.
Emanuele Franz
ERETICAMENTE
Tratto dal libro -L’acqua della vita. Pellegrino in Anatolia alle origini del Sacro- di
Emanuele Franz (Audax 2024)

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