Il bellissimo discorso di Tito ai ribelli durante l’assedio di Gerusalemme.
[Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VI, 6.2]«”Siete dunque soddisfatti delle sventure della vostra patria, voi che senza valutare la nostra forza e la vostra debolezza, con furia sconsiderata e come dissennati avete provocato la rovina del popolo, della città e del tempio, e di cui giustamente state per fare la stessa fine, voi che fin…
[Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VI, 6.2] «"Siete dunque soddisfatti delle sventure della vostra patria, voi che senza valutare la nostra forza e la vostra debolezza, con furia sconsiderata e come dissennati avete provocato la rovina del popolo, della città e del tempio, e di cui giustamente state per fare la stessa fine, voi che fin da quando Pompeo vi assoggettò non avete mai smesso di ribellarvi e alla fine siete scesi in guerra aperta contro i Romani? Confidavate nel vostro numero? Ma contro di voi è bastata una piccolissima parte dell'esercito dei Romani! Contavate sulla fedeltà degli alleati? Ma quale dei popoli non racchiuso nel nostro impero avrebbe preferito i Giudei ai Romani? Facevate affidamento sulla vostra prestanza fisica? Eppure ben sapete che i Germani sono nostri schiavi! Sulla robustezza delle mura? Ma quale muro rappresenta una difesa più sicura dell'oceano, che pur cingendo tutt'intorno i Britanni non impedisce che costoro si prosternino dinanzi alle armi romane? Sul vostro morale incrollabile e sull'astuzia dei capi? Eppure sapevate che anche Cartagine noi l'abbiamo fatta cadere! E allora a spingervi contro i Romani è stata evidentemente la nostra stessa mitezza, che in primo luogo vi concedemmo di abitare questa terra e di essere governati da vostri re, e poi vi facemmo conservare le patrie leggi e vi lasciammo libertà di regolare come volevate non solo i vostri rapporti interni, ma anche quelli con gli stranieri. Ma soprattutto vi permettemmo di esigere tributi per il Dio e di raccogliere doni votivi senza dissuadere né ostacolare coloro che li offrivano, col risultato che, grazie a noi, diventaste più ricchi e, con i mezzi che dovevano esser nostri, faceste preparativi contro di noi! Alla fine, impinguati da tali vantaggi, sfogaste la vostra sazietà contro chi ve li concedeva, e a guisa di serpenti non addomesticati iniettaste il veleno in quelli che vi accarezzavano. È chiaro che dall'indolenza di Nerone foste spinti a non darci importanza, e come fratture e strappi rimaneste malignamente latenti fino a che vi manifestaste quando il male si aggravò, e dirigeste le vostre smodate ambizioni verso sfrontate speranze. Nel vostro paese arrivò allora mio padre, e non per punirvi di ciò che avevate fatto a Cestio, ma per darvi un ammonimento. Se egli fosse venuto per sterminare la nazione, avrebbe dovuto attaccarvi direttamente alla radice e distruggere senza indugi questa città, mentre invece si trattenne a devastare la Galilea e il territorio circostante per darvi così il tempo di rinsavire. Ma a voi la mansuetudine parve debolezza, e dalla nostra clemenza traeste alimento per il vostro ardire. Quando poi scomparve Nerone, assumeste un atteggiamento quanto mai ostile prendendo animo dai nostri sconvolgimenti interni, e allorché io e mio padre dovemmo raggiungere l'Egitto voi approfittaste dell'occasione per i preparativi di guerra. E così quando l'impero trovò rifugio nelle nostre mani, mentre tutti i sudditi in esso compresi se ne stettero tranquilli, e anche i popoli esterni inviarono ambascerie di felicitazioni, ecco che i Giudei ancora una volta ripresero le armi, e voi mandaste emissari ai vostri amici oltre l'Eufrate per incitarli alla rivolta, innalzaste nuovi baluardi di mura, e vi abbandonaste alla ribellione e alla guerra civile, le sole cose che si addicevano a individui così perfidi. Poi, contro questa città arrivai io con gli ordini severissimi che mio padre, suo malgrado, aveva dovuto darmi. Mi fece piacere di apprendere che il popolo nutriva intenzioni pacifiche. Quanto a voi, prima che si riprendesse la guerra vi invitai a deporre le armi, e nel corso delle ostilità vi usai a lungo clemenza: diedi garanzia ai disertori, mi comportai lealmente con i supplici, risparmiai molti prigionieri costringendo chi voleva torturarli a non farlo, a malincuore accostai le macchine alle vostre mura, tenni sempre a freno i soldati assetati del vostro sangue, dopo ogni vittoria vi esortai alla pace come se il perdente fossi io. Arrivato vicino al tempio, di nuovo volentieri mi dimenticai delle leggi di guerra e cercai di convincervi a risparmiare i vostri luoghi santi e a preservare il tempio per voi stessi, concedendovi libertà di uscire e garanzia d'incolumità, e insieme la possibilità di riprendere la battaglia in un altro luogo se aveste voluto; ma tutte queste proposte le respingeste sprezzantemente e con le vostre mani appiccaste il fuoco al tempio. E dopo tutto ciò, farabutti, venite ora a chiedermi di trattare? Che cosa potreste cercare di salvare che valga quanto avete distrutto? Quale salvezza credete di meritare dopo la distruzione del tempio? E poi, anche ora vi siete presentati con le armi in pugno, e neppure ridotti agli estremi vi decidete ad assumere atteggiamenti da supplici: individui miserabili, su che cosa contate? Non è distrutto il vostro popolo, incenerito il tempio, in mio possesso la città; non sono nelle mie mani le vostre vite? Credete che dia fama di eroismo il cercare la morte? Ad ogni modo io non mi metterò a competere con la vostra stoltezza; prometto salva la vita a chi getterà le armi e si arrenderà, e come fa nella sua casa un buon padrone, punirò gli schiavi incorreggibili e conserverò gli altri per il mio comodo." A queste parole essi risposero di non poter accettare condizioni di resa, poiché avevano giurato che mai l'avrebbero fatto. Chiesero invece di poter attraversare la linea di circonvallazione assieme alle mogli e ai figli: si sarebbero ritirati nel deserto lasciandogli la città. Tito andò allora sulle furie al vedere che essi, pur trovandosi nella condizione di vinti, gli presentavano delle proposte come fossero vincitori e fece loro proclamare dal banditore di non arrendersi più ormai, né di sperare nella grazia, perché non avrebbe risparmiato nessuno; combattessero invece con tutte le forze e cercassero scampo come meglio potevano, perché da quel momento egli avrebbe sempre applicato le leggi di guerra. Diede quindi licenza ai soldati di incendiare e saccheggiare la città.»
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